Antonio Cremone – Dottore di ricerca in Teoria delle istituzioni dello Stato tra federalismo e decentramento e Docente a contratto di Contabilità di Stato, Università degli Studi di Salerno – (acremone@studiocremone.com)
SOMMARIO
1. Il controverso rapporto tra fonti nella disciplina dell’usura bancaria e le conseguenti incertezze nell’applicazione del diritto.
2. Le determinazioni di Banca d’Italia e il sistema delle fonti: alla ricerca di una legittimazione precettiva.
3. Gli interessi tutelati dalla normativa antiusura e la rilevanza sempre maggiore della dimensione economica collettiva.
4. Riserva di legge ex art. 25 Cost. e norma penale in bianco: profili formali e dubbi (sostanziali) di tassatività del precetto.
5. La teoria delle grandezze omogenee: una soluzione insoddisfacente alle criticità della normativa.
6. Dubbi di coerenza dell’impianto normativo con l’art. 47 Cost.
7. Ritorno ai principi costituzionali e spunti di riforma per il superamento delle ambiguità e delle contraddizioni di una “normativa infelice”.
L’usura bancaria è un tema trasversale (con rilevanza in ambito pubblicistico, penalistico e civilistico), che incide su interessi privati e collettivi, caratterizzandosi per una disciplina multilivello, talvolta controversa e passibile di generare incertezze nell’applicazione del diritto.
La legge 7 marzo 1996, n. 108, nell’individuare il tasso soglia di usura, rinvia a decreti ministeriali trimestrali, che calcolano l’usura sulla base di una maggiorazione rispetto agli interessi praticati per analoghe operazioni da banche ed intermediari finanziari nel trimestre precedente, in virtù di “Istruzioni” adottate dalla Banca d’Italia, di cui sono discusse l’esaustività ed il valore vincolante.
Tali criticità inducono la giurisprudenza ad esercitare un ruolo suppletivo (e talvolta sostitutivo) rispetto al legislatore, non sempre coerente con i principi costituzionali e con le disposizioni nazionali sulla disapplicazione degli atti amministrativi ritenuti illegittimi.
Le verifiche di costituzionalità della normativa antiusura, condotte in chiave prevalentemente penalistica (secondo il paradigma dell’art. 25 Cost.), risultano parziali ed inadeguate, essendo necessario prestare maggiore attenzione ai principi pubblicistici sottesi alla disciplina del credito, anche nell’ambito di un auspicabile intervento legislativo che consenta di superare ambiguità e contraddizioni di una “normativa infelice”.
Bank usury is a transversal theme (involving public, criminal and civil law), affecting private and collective interests, characterized by a multi-level regulation that is controversial and liable to generate uncertainty in the application of law.
The Law of March 7, 1996, no. 108, setting the usury threshold rate, refers to quarterly ministerial decrees, which calculate usury on the basis of a predetermined increase over the interest applied by banks and financial intermediaries for comparable financial operations, in the previous quarter, according to “Instructions” adopted by the Bank of Italy, which are broadly discussed in terms of completeness and binding value.
These critical issues lead many courts to exercise a supplementary (and sometimes substitutive) legislative role, potentially conflicting with the Italian Constitution principles and with the national rule which provides for the mere disapplication of unlawful administrative acts.
Verifications of the constitutionality of the usury regulation, carried out mainly in a criminal law perspective (according to article 25 of the Italian Constitution), are partial and inadequate, appearing necessary to pay more attention to the public principles of the credit discipline, also in view of a desirable legislative reform that may overcome ambiguities and contradictions of a “troubled regulation”.