di Massimo Occhiena
Con l’«Atto di indirizzo concernente l’aggiornamento 2017 al piano nazionale anticorruzione – sezione Università, approvato con delibera Anac n. 1208 del 22 novembre 2017» 14 maggio 2018, prot. n. 39, il Miur ha dato seguito alle indicazioni dell’Anac contenute nella predetta delibera di approvazione, che dedica uno specifico approfondimento alle istituzioni universitarie (sezione III della «Parte speciale – Approfondimenti»), individuando tutta una serie di «misure volte a contrastare fenomeni di corruzione, di cattiva amministrazione e di conflitto di interessi». L’atto ministeriale è diviso in tre parti: la prima contiene una ricognizione degli interventi richiesti dall’Autorità anticorruzione che devono essere attuati in provvedimenti di tipo regolatorio, di rango legislativo, normativo o amministrativo; la seconda concerne una ricognizione di interventi richiesti dall’Anac e la cui attuazione spetta direttamente dalle Università; la terza riguarda gli “Istituti di particolare interesse per il sistema universitario e della ricerca” «cui ha dato il proprio contributo l’ANAC come previsto dal predetto Aggiornamento 2017 del PNA».
Quanto agli interventi che le Università devono direttamente attuare in recepimento delle misure di rimozione dei rischi corruttivi indicate dall’Anac spiccano quelli relativi alle procedure di reclutamento dei docenti universitari. A questi, nella delibera 1208/2017, cit., l’Autorità dedica un apposito capitolo, evidenziando che le procedure selettive a livello locale (paragrafo 5.2) sono soggette al rischio corruttivo delle «pressioni che possono essere esercitate dai candidati (e dai docenti) locali, incentivate dai vincoli/condizionamenti di bilancio, verso la scelta di forme di reclutamento volte a favorire gli interni», con pregiudizio dell’imparzialità del sistema e dell’effettività del principio del merito e sensibile riduzione della «mobilità tra università diverse, uno dei punti di forza per assicurare libertà e qualità alla ricerca». In proposito, l’Anac segnala le criticità inerenti alla formazione delle commissioni giudicatrici e ai conflitti di interesse dei componenti delle medesime (paragrafo 5.2.4.). Sul presupposto che «La composizione irregolare delle commissioni o la presenza di soggetti che siano in conflitto di interessi con i candidati può pregiudicare l’imparzialità della selezione» e constatata la carenza di disposizioni legislative in materia, l’Autorità formula alcune raccomandazioni alle Università. Tra queste, la prima, su cui si intendono concentrare queste riflessioni, è così formulata: «per l’individuazione dei componenti, si ricorra alla modalità del sorteggio rispetto a liste di soggetti in possesso dei medesimi requisiti previsti per la partecipazione alle commissioni dell’abilitazione scientifica nazionale. Detta modalità può, eventualmente, essere temperata nei settori di ridotta consistenza numerica».
In quanto, come detto, rientrante tra gli interventi rispetto a cui l’Anac si rivolge direttamente alle Università, il Ministero si limita nell’Atto di indirizzo del maggio scorso a trascrivere pedissequamente la suddetta raccomandazione. Il che significa che per non incorrere nelle conseguenze del mancato adeguamento a una raccomandazione “anticorruttiva”, le Università adegueranno i loro regolamenti sul reclutamento dei docenti inserendo la previsione relativa ai sorteggi delle commissioni concorsuali.
Come anticipato, l’Anac individua nel metodo del sorteggio la soluzione per realizzare una maggiore imparzialità nei concorsi universitari e quindi scongiurare i localismi cui tali selezioni sono affette.
A tacere delle riflessioni di più ampio respiro che possono operarsi sul metodo del sorteggio applicato ai concorsi pubblici (si v. L. Viola, Commissioni di concorso, sorteggio dei commissari e analisi economica del diritto: un primo approccio, in www.federalismi.it, 5 dicembre 2012), dal punto di vista dell’analisi strettamente giuridica il metodo in questione solleva non poche perplessità e non sembra costituire la soluzione per risolvere il difetto di imparzialità e l’eccessivo localismo del vigente sistema concorsuale universitario che, con la sua massiccia introduzione, l’Autorità anticorruzione intende risolvere.
L’imparzialità cui idealmente tende l’Anac è l’estraneità dei commissari rispetto ai candidati: sotto il profilo statico e secondo un approccio per così dire aprioristico, si impone cioè che i primi non conoscano ex ante i secondi, né direttamente né indirettamente. Nulla a che vedere, allora, con il principio di imparzialità alla cui tutela la Costituzione individua il metodo del concorso quale mezzo ordinario per accedere agli impieghi pubblici (art. 97, c. 3) e pone i dipendenti pubblici al servizio esclusivo della Nazione (art. 98). In questa prospettiva, in un settore comunque animato da un numero limitato di soggetti, qual è quello universitario, non sembra poter essere il sorteggio a garantire l’imparzialità dell’operato dei commissari di un seggio concorsuale. Il sorteggio può funzionare per estrarre, da una rosa di candidati, i commissari “togati” nel concorso a magistrato ordinario (si v., da ultimo, la delibera del Consiglio Superiore della Magistratura 15 novembre 2017 «Interpello per la nomina della Commissione esaminatrice», punto 9), ma è assai improbabile che possa funzionare se applicato in ambiti in cui i candidati costituiscono già parte di una comunità, specie se numericamente ridotta. Sempre per guardare a settori extrauniversitari, si pensi alle selezioni per il conferimento degli incarichi di direzione di struttura complessa, la cui commissione è composta, oltre che dal direttore sanitario dell’azienda interessata, «da tre direttori di struttura complessa nella medesima disciplina dell’incarico da conferire, individuati tramite sorteggio da un elenco nazionale nominativo costituito dall’insieme degli elenchi regionali dei direttori di struttura complessa appartenenti ai ruoli regionali del Servizio sanitario nazionale» (art. 15, comma 7 bis, d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502).
Posto che per l’accesso ai pubblici impieghi il principio di imparzialità impone non solo il criterio del concorso, ma anche che la commissione giudicatrice sia formata da «tecnici o esperti-interni o esterni all’amministrazione, ma in ogni caso dotati di adeguati titoli di studio e professionali rispetto alle materie oggetto di prova… tale da garantire scelte finali fondate sull’applicazione di parametri neutrali e determinate soltanto dalla valutazione delle attitudini e della preparazione dei candidati» (Corte cost., 15 ottobre 1990, n. 453) e considerato il numero limitato di soggetti che compongono le “comunità” dei settori scientifico-disciplinari che animano l’Università, è evidente che il sorteggio non possa in nessun modo essere la soluzione a quello che l’Anac individua quale problema: i commissari delle procedure selettive non possono che (recte, devono) conoscere, direttamente o indirettamente (perché ne hanno letto le pubblicazioni, ne hanno sentito parlare da altri colleghi, li hanno incontrati in convegni e seminari, ecc.) i candidati alle medesime. Ed è sin troppo facile prevedere che gli sforzi delle Università per adeguare i rispettivi regolamenti sulle procedure concorsuali al criterio del sorteggio delle commissioni finiscano con il risolversi in farraginose procedure, in cui complessi sistemi di individuazione dei candidati commissari da estrarre che siano al riparo da sospetti di incompatibilità/inconferibilità/inopportunità all’esercizio della funzione alimenteranno ulteriormente la litigiosità del settore, già funestata negli ultimi anni da un contenzioso sui concorsi senza precedenti che certamente non giova né all’istituzione universitaria, né ai soggetti che ne fanno parte o che aspirano a farne parte.
D’altronde, a ben vedere, non è un caso che, declinato il principio dell’imparzialità sul piano organizzativo («un’amministrazione che non presenti già a livello organizzativo “reali requisiti di parte imparziale, si troverà poi nella sostanziale impossibilità di praticare l’imparzialità”»: così E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2018, 54, citando R. Marrama, La pubblica amministrazione tra trasparenza e riservatezza nell’organizzazione e nel procedimento amministrativo, in Dir. proc. amm., 1989, 416), i Padri costituenti si siano limitati a sancire, a monte, il subcriterio di attuazione del concorso pubblico, senza spingersi, a valle, a stabilire le modalità di nomina dei commissari (i quali ultimi, muovendoci sempre sul crinale dei principi, in quanto “tecnici” e dunque, viste le caratteristiche del nostro sistema, già appartenenti ai ruoli dell’amministrazione universitaria, dovrebbero di per sé trovarsi nelle condizioni di praticare l’imparzialità).
Non è il metodo di scelta dei commissari a determinare l’imparzialità, ma la tipologia di disciplina dei concorsi. Per quanto concerne le Università, l’eccesso di localismo che giustamente l’Anac ha stigmatizzato non si risolve con i sorteggi dei commissari, ma eliminando dei singoli Atenei di decidere le sorti del percorso curriculare degli universitari: sembra cioè arrivato il momento di constatare il fallimento del vigente sistema di reclutamento e di tornare al criterio del concorso secondo la sua accezione più tradizionale. In buona sostanza, visti i pessimi risultati del sistema dell’idoneità, prima, e di quello dell’abilitazione nazionale, poi, occorre tornare ai concorsi nazionali “vecchia maniera”, i cui vincitori siano pari al numero totale del fabbisogno effettivo siccome segnalato dalle Università e che il Ministero “mette a concorso”, così da essere immessi in ruolo all’esito della tornata selettiva e non di ulteriori scelte e valutazioni dei singoli Atenei che, queste sì, esaltano ingranaggi estranei al meccanismo concorsuale e al principio dell’imparzialità, che esso è chiamato a realizzare.
Appare evidente che i reali problemi qui sunteggiati non possano davvero essere affrontati e risolti con interventi regolamentari da parte delle singole Università. Il fatto che, fondandosi su raccomandazioni dell’Autorità anticorruzione, il Ministero abbia interpretato in modo così soft il suo ruolo nell’esercizio delle funzioni di indirizzo e coordinamento attribuite dall’art. 1, c. 2, della l. 9 maggio 1989, n. 168, che altre volte (ad esempio, nell’imporre il sistema dei punti organico: si v. l’atto della Direzione generale per l’Università, Ufficio III, 27 marzo 2009, prot. n. 478) hanno invece persino soffocato l’autonomia universitaria, pare denunciare la volontà di proseguire con palliativi ed escamotage (tra i tanti, si v. la riserva pari al 20% di chiamate triennali per soli esterni ex art. 18, comma 4, l. 30 dicembre 2010, n. 240) e rinviare le decisioni risolutive a quando, speriamo, non sarà troppo tardi.